venerdì 25 marzo 2016

AQUILONI

Capita che spostandosi sul cassone del vecchio tap tap per le strade della baraccopoli, diretti verso quelle più alte della strana città, capitale della “perla dei Caraibi”, si osservino gli sguardi dei bambini che mi stanno accompagnando. Capita immaginare cosa passi loro per la testa. Ma capita anche di vederli estasiati quando  alla svolta verso la collina di Petionvillem urlano: “kap! Guido kap!”. E allora anche io rivolgo i miei occhi al cielo, nell’ora del tramonto e scopro decine di aquiloni fatti da buste di plastica, legnetti incurvati e malmessi, guidati da un filo di quelli che si trovano attaccati ai sacchi dell’immondizia per legarli, prima che il servizio di nettezza urbana passi a ritirarlo a domicilio. Qui la nettezza urbana è fatta di container stracolmi, di strade fumanti (perché “è bene” dar fuoco a tutto, compresa la spazzatura!), di animali che vi abitano, di umanità alla ricerca.
Ma lo sguardo verso questi aquiloni molto semplici, ma pur sempre coloratissimi, mi fa pensare che l’immaginazione di questi bambini è proprio come l’aquilone più alto su cui si possa volare. Loro accompagnano il bianco grassoccio nella quotidianità haitiana, hanno gli occhi pieni di gioia quando seguono il volo degli aquiloni che si innalzano alto sopra i tetti delle baracche e tra il verde eccezionalmente raro del parco che circonda l’ambasciata vaticana.


Oggi sembra che il cilindro del mondo faccia uscire da sé un asso di vento, un re di aquiloni, un fante di sguardi di Ibiscus, un dieci di risate e gioia dei bambini, un settebello di grande serenità.

Passano i minuti e il sole scompare all’orizzonte, anche gli aquiloni sembrano svanire nel nulla proprio come questi bimbi che di giorno in giorno chiedono di innalzarsi e, chi ha la fortuna di essere accanto a loro, ha il prezioso compito di dover insegnare a volare attraverso l’esempio cercando di salvarli dalle cadute, maneggiando con cura quel filo esile che si dipana tra le mani. Loro possono cadere più e più volte, e allora tocca a te ripararli e innalzarli ancora nella brezza del tramonto. E così impareranno a volare, ti chiederanno sempre più filo e per ogni pezzetto che si dipanerà dalle tua mani, il tuo cuore si riempirà di gioia ma anche di consapevole tristezza. Via via che l’aquilone si allontanerà, avvertirai che il fragile filo che vi unisce prima o poi si spezzerà e quel colorato e semplice aquilone sarà libero di volare nel cielo della vita. Ecco forse la metafora del mio compito qui, un pezzetto di filo che assolverà un compito piacevole e gioioso per poi augurarsi che il vento che dividerà sarà sempre propizio.

Ecco spuntare le stelle della notte tra i falò di rifiuti della bidonville, uomini intenti a farsi la barba nei piccolissimi locali improvvisati tra baracche e confusione. Ecco che nel buio qualcuno fa festa, altri fanno ritorno, altri si coricano, altri si spingono, altri fanno cerchio attorno a una scena raccapricciante di due persone a terra tra pugni, urla e insulti… il cuore è come un aquilone, c’è più gusto a farlo volare vicino ai cavi dell’alta tensione.


prof. G.

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