martedì 5 aprile 2016

PESO


È il peso di una valigia che mi trascino dietro, lasciando alle mie spalle non solo un luogo ma tanti cuori che con me hanno condiviso un’altra esperienza. Per me è il momento della partenza, quel momento il cui peso si fa sentire nell’abbraccio commosso di Chico che mi chiede di rimandare questo ennesimo addio. Il canto sussurrato nella notte dai bambini, è un saluto in lingua creola ma, ancor più, è un addio speciale di piccole creature che hanno avuto e hanno ancora troppo poco peso nella società haitiana. Le parole mi ricordano che questo addio è un arrivederci e, se non sarà possibile far rincontrare le nostre vite, sarà possibile farlo con le nostre anime in cielo. Ora il peso si sposta negli occhi a trattenere le lacrime per trasformarle in un più adatto sorriso che possa ricambiare ogni bene ricevuto.
Talvolta è un’accezione perlopiù negativa quella del “peso”, come quello della terra che avvolge le radici delle piante faticosamente messe a dimora ad abbellire un angolo di paradiso nella disperazione della bidonville, quella del peso della sofferenza di uomini senza un lavoro, di donne che faticano per portare avanti una famiglia, di piccoli uomini e piccole donne che portano con sé il peso inimmaginabile e ingiustificabile della fame. Un peso che si vorrebbe alleggerire anche solo per qualche ora, qualche giorno, qualche settimana con piccoli gesti che possano far risorgere la speranza nel domani.
Eppure anche io, negli istanti della mia partenza, avverto questo enorme disagio pesante… quasi affezionato alla puzza immonda e insopportabile nell’aria calda e umida del mattino prima del sorgere del sole, unito in qualche modo a questa gente che trasforma uno sguardo circospetto, in uno incuriosito, in uno poi disposto all’incontro... fino a tendere una mano, fino ad esserci, fino a dimostrare un legame di amicizia più indissolubile di tanti altri.


Salgo sul tap-tap mentre la luce arancione dell’alba fa capolino tra le palme della Kay. Il motore si accende, premo sull’acceleratore e si alza la polvere tra i rifiuti sparsi sulla strada. Dietro di me, il mondo che mi ha accolto, mi saluta. Innanzi a me, il sole sembra guidarmi mentre due bambine, nella bidonville, si distinguono con la loro divisa dirette alla scuola… quella che per uno studente del mio Paese è, nella maggior parte dei casi, un peso… un altro peso!
Loro sorridono, riconosco Vivienne, una dei tanti ragazzi che hanno provato l’ebbrezza della mia guida nello spasmodico e incomprensibile traffico della capitale haitiana. Mi saluta, mentre si dirige con un’amichetta verso la scuola, mentre il sole comincia a scaldare e a illuminare i tetti luridi e arrugginiti delle baracche, mentre la strada di fango e polvere si affolla inverosimilmente, mentre un maiale attraversa lo spazio destinato alla strada, mentre la vita riprende. Lei ha la fortuna di avere una scuola, una di quelle scuole costruite dignitosamente dopo il terribile terremoto, una scuola che ben conosco, in cui ho bazzicato come un giullare, cercando di comprendere il “peso della cultura haitiana” tra gli stornelli ripetuti all’inverosimile, l’ordine e la compostezza degli alunni, la proibizione di seguire “il metodo”, ossia l’uso della cinghia e del bastone ma piuttosto le strade della conoscenza, della comprensione e del confronto umano. Ecco perché talvolta son certo che sia facile mettere in piedi una scuola in questi posti. Qui in molti “fanno scuole” pochi però educano veramente.

Ed ecco che i miei pesi si moltiplicano finché le ruote del carrello dell’aereo staccano dal suolo caraibico lasciandomi le immagini di una terra martoriata ma con uomini e donne in cerca di una bellezza che, anche grazie a “piccole presenze”, sta germogliando. Sono convinto che più la vita è vuota più sia pesante e nella Perla delle Antille, qualcuno sta imparando a renderla piena di meraviglia perché pare sia una buona strada per rendere la stessa vita degna di essere vissuta! Orevwa Ayiti!

prof. G.

sabato 2 aprile 2016

SCATTI









GOCCE

Serenamente contemplo il mare che mi sta innanzi, il leggendario Mar dei Caraibi, teatro di tanti set cinematografici ma ancor più rassicurante coperta che accarezza il volto di queste terre. Mai avevo sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che si frange su queste rive. Pare che il mare abbia qualcosa di speciale da dire, qualcosa che non so ancora, qualcosa che forse attende solo il mio orecchio.
Dalle Kay, dalle costruzioni aperte che ospitano i 116 bambini, non giunge alcun rumore, le tenebre della notte consentono alle stelle di bucare l’oscurità e rendere meno timoroso il bianco uomo che sfrutta la brezza della notte per raccontare… una goccia di racconti, tra le gocce d’acqua che bagnano i fiori e le piante messe a dimora tra aiuole di preziosa terra riportata e pietre create dalle sapienti mani degli scalpellini tra le baracche della bidonville. La goccia di latte che beve Dieudoné cullato da Giulia prima di lasciarsi andare alla notte sul proprio lettino coperto dalla zanzariera. La goccia di sudore che imperla la fronte di chi lavora tra terra, pannolini e mille altre necessità di questo paradiso incluso nell’inferno. La goccia di speranza che questi bimbi hanno nel loro cuore, quella che consentirà loro di crescere e di diventare futuro per queste terre.
Matteo sale a bordo del tap tap e con il prof. Belloni e lo spericolato autista Baloonì cerca piante nei vivai caserecci ai bordi della baraccopoli, Giulia collabora con i giovani operatori haitiani per realizzare le aiuole pronte ad accogliere colore, pronte a essere germoglio, pronte a dimostrare quanto la bellezza possa crescere e rimanere.
Ci sono gocce di fatiche che spezzano la propria misura e ti rendono capace di intuire quanto si possa essere felici anche mangiando un cibo semplice, bevendo acqua pura in un gallone lercio e avendo come cuscino il proprio braccio ripiegato, addormentandosi accanto al respiro di una creatura orfana che cerca il tuo respiro e la morbidezza della tua pancia, peraltro vasta veramente!

Anche l’acqua sembra essere simbolo di morbidezza e di debolezza… ma nulla le è pari nel suo modo di opporsi a ciò che è duro, nulla può modificare l’acqua. La debolezza vince sulla forza e la morbidezza sulla durezza. Qui, alla Kay Pe’ Giuss cadendo, la goccia scava  la pietra, non per la sua forza, ma per la sua costanza.

prof. G.