È una notte di stelle, di
quelle che basta allungare una mano e toccarne una talmente il cielo è limpido
e l’oscurità è pressoché totale. La luna sembra farsi da parte, nella sua fase
calante, lasciando il suo riflesso nel Mar dei Caraibi calmo e luccicante. È la
notte di Pasqua su Haiti. Anche la bidonville sembra più tranquilla del solito. Le bande musicali (e non solo
purtroppo…!) che si riversano sulle strade, da dopo il carnevale fino alla fine
della Settimana Santa, hanno sospeso i loro scontri rituali. Nelle notti
trascorse i disordini, le risse tra ubriachi e violenti, le piccole rivolte
degli abitanti della baraccopoli, hanno fatto da contorno a questi rituali
religiosi misti al tradizionale e locale voodoo. Bande rivali che lanciano ciò
che si chiama pwen ovvero il canto di scandalo, le
allegorie delle disgrazie umane quotidiane (come se ci fosse necessità di rimarcarle!),
di tutto ciò di cui abitualmente non si parla o di cui, addirittura, non si può
parlare.
La lingua creola non riesco
ancora a comprenderla bene, anzi capisco molto poco ma con i bambini vige la “lingua
universale” dei gesti e dei segni che facilitano ogni comprensione. E allora cerco
di tradurre, comprendere quel canto, quella nenia, quella cantilena che dice: “la famiglia di Asefi racconta
che Asefi ha buttato via un bebè di sette mesi. I bambini sono ricchezza!!!
Parlate!”.
Difficile comprendere se non
si conosce Haiti, la storia di questi popoli ridotti nel passato alla schiavitù
nelle piantagioni di zucchero della Perla delle Antille che, ribellatosi,
costituirono un primo esempio di repubblica nera. Difficile comprendere le
parole di un canto che racconta l’assurdità di interrompere una gravidanza al
settimo mese, atto disperato contro il corpo e le regole della società giacché
i bambini sono “ricchezza”… ma per chi? Loro che corrono nudi tra la spazzatura
e la terra polverosa, loro che attendono seduti fuori dalla baracca in lamiera
il ritorno degli adulti per ore e ore, loro che si accucciano in una
pozzanghera fetida per bere, loro che strappano il cibo dalle fauci dei maiali…
Ecco allora che questo
periodo di tensioni sociali sfocia nella calma di questa notte. Dalle colorate
Kay dell’orfanotrofio giunge solo qualche lamento dei bebè per l’ora della
pappa, ma tutto tace, illuminato dal chiarore della notte che riflette anche
sul verde rigoglioso che circonda le costruzioni. Tutto passa in secondo piano:
la luna si defila, la confusione tra le baracche sembra placarsi, il clima di
insicurezza e di instabilità di questo grande “quartiere” (oltre 200.000
abitanti, ndr) sembra svanire, le bande rivali “stanno al loro posto”, sembra quasi
una notte di “demilitarizzazione della mente”, una di quelle notti in cui la “pace”
sembra imporsi, in cui ognuno “avverte”, “sente”, “ascolta”…
Sono un bianco vulnerabile
che osserva tra le maglie della rete che mi divide dalla bidonville questa realtà miserabile, che lancia uno sguardo al cielo stellato per
cercare speranza e conforto e che, cominciando da oggi, vuole rinnovare il suo
impegno a trattare chiunque come se stesse per morire entro la notte successiva,
elargendo cura, gentilezza e comprensione di cui sono capace, senza pensare ad
alcuna ricompensa. Ecco, che disperso in questo angolo di mondo, mi convinco
che la mia vita non sarà più la stessa, non potrò mai dire di aver vissuto
veramente se non avrò mai fatto qualcosa per qualcuno che non potrà mai
ripagarmi.
Le fatiche di un giorno
donate a questa terra sono il germoglio giusto nelle periferie di questo nostro
mondo.
prof. G.
Rimango senza parole, ma con il cuore che batte forte di fronte alla tua forza e a questa straordinaria capacità di amare, Guido.
RispondiEliminaTi raggiungo con il pensiero, una preghiera e il mio grazie sincero.
Mariarosa